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Genitori e sport: un rapporto a volte complicato

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PRIMO PIANO - GENITORI E SPORT: UN RAPPORTO A VOLTE COMPLICATO

22.10.2012


Prendendo liberamente spunto da un articolo scritto da Fabrizio Bocca, vogliamo dedicare queste righe a tutti coloro che in queste settimane hanno riportato i figli a scuola al mattino. E magari a praticare sport il pomeriggio. Riservando a quell’ora e mezzo di corse fra i coni, esercizi col pallone, salti, capriole, giochi con i fondamentali, passaggi, lanci, tiri, un’attenzione quasi morbosa per il proprio figlio. Soprattutto quando poi dall’allenamento si passa alla gara vera: una delle decine di migliaia di gare di qualche migliaio di eventi, manifestazioni e campionatini che ogni settimana si svolgono in Italia.

Se ogni genitore pensasse che il proprio figlio può diventare un campione così da arrivare rapidamente a sfondare sulle prime pagine dei giornali sportivi con l’aggettivo di "fenomeno", da guadagnare un paio di milioni di euro già a vent’anni, da sentire il proprio nome urlato da qualche commentatore sportivo, staremmo freschi.

Sulla prima pagina del Tirreno di Livorno 1, qualche settimana fa, campeggiava un articolo su una società di Ponzano, vicino Empoli, che ad inizio stagione ha affisso all’ingresso un grande cartellone di un metro e mezzo per un metro. "Chi pensa di avere un figlio "campione" è pregato di portarlo in altre società". E i dirigenti ci si sono fatti anche una foto sotto. Come a dire, da oggi questo è legge, e chi la pensa diversamente aria.

Non è un tema sconosciuto, anzi, ma ricordarlo a inizio stagione può servire a molto. Il cartellone di Ponzano è un monito serio dedicato a tutti quei genitori che fanno pressioni, che si lamentano, che protestano durante le partite contro arbitri, avversari, istruttori o compagni di squadra dei propri figli, che ululano e fischiano contro gli avversari invece di sostenere i propri ragazzi, che urlano contro l’istruttore o l’allenatore perché il ragazzo non è stato convocato, è in panchina, viene redarguito o sostituito, che spingono insomma perché il proprio ragazzino venga trattato in maniera diversa dagli altri, come se fosse un sicuro futuro campione. Che spesso solo i loro occhi riescono a vedere, perché magari quel ragazzo un campione non lo sarà mai, ma ha tutto il diritto comunque di giocare per divertirsi, per fare sport, per imparare non solo le date delle crociate e il teorema di Pitagora ma anche il rispetto delle regole con la pratica, per maturare nella maniera più giusta e tranquilla. Per giocare e basta!

A doversi allenare dunque non sono solo i ragazzi ma soprattutto i genitori. Ricordarglielo con un cartello ben visibile significa parlar chiaro e forte a chi da questo orecchio proprio non ci vuol sentire. E’ come ricordare a chi gioca, a chi gareggia, che non si può protestare e, soprattutto, non ci si può assolutamente rivolgere in maniera irrispettosa ad arbitri, compagni di squadra, istruttori o avversari. Perché il rispetto, l’educazione e l’etica vengono prima di ogni altra cosa e valgono molto di più di una vittoria.

E questo vale anche per presidenti, dirigenti, allenatori e istruttori che devono essere sempre e comunque un punto di riferimento e un esempio positivo per i ragazzi, sia dentro che fuori dal campo.

Staff comunicazione A.C.S.D. Antares 1988 Ruvo di Puglia.

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